Calcio

Ricordi in Biancorosso: ultima puntata

Danilo Calabrese
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L’ultimo appuntamento con Ricordi in Biancorosso è dedicato ad un grande personaggio del calcio barese, Totò Lopez, che giocò a Bari a inizio e fine carriera. Grande regista, calciatore di ottima levatura tecnica e uomo di esperienza, che ha giocato per diversi anni in A, Lopez fu il leader della squadra di Bolchi, vincitrice di due campionati consecutivi, oltre che giovane promessa in due campionati dei rpimi anni settanta.
Ci diamo appuntamento davanti al negozio d’arredamento del fratello in pieno centro cittadino e, dopo qualche minuto di conversazione, capisco che sarà molto difficile non tener conto di ogni frase di Totò. E’ un’enciclopedia di ricordi e aneddoti biancorossi. Il resto lo fa la sua immensa personalità. 

Hai vissuto due realtà calcistiche a Bari diverse tra loro: da giovane quella anni ’70 e da grande quella anni ’80. Che differenza c’era tra le due?

L’epoca di Toneatto è stata bella. Con me giocava gente come Muccini, Mujesan, Galletti e un certo Fara, uno dei migliori registi del Bari. Era una gran bella squadra. Andai via grazie a Regalia, che non mi voleva per niente. Oggi, però, lo devo ringraziare perché poi sono stato a Pescara, 5 anni nella Lazio e 3 a Palermo. Ho vissuto la serie A. Nell’83 la decisione di tornare non fu facile da prendere. Per Bolchi ero il primo della lista, anche se non lo sapevo. Un giorno Pasquale Loseto nella sede della società biancorossa mi disse: "Perché non torni a Bari?". La voglia di rivincita era tanta, perché andai via senza dimostrare quello che potevo fare e poi per il Bari darei la vita, come alla fine è accaduto. Incontrato Matarrese, firmai il contratto con una stretta di mano. Quell’anno arrivò gente d’esperienza come Paolo Conti, Cavasin e Messina, che insieme ai giovani facevano del Bari una squadra superiore alla C. Battemmo due volte la Juve, e poi la Lazio, la Fiorentina. Eravamo davvero forti.

Hai trascinato il Bari dalla C alla B e dalla B alla A. Qual è stata l’annata più bella?

Ho dato sempre l’anima. Giocavo nella mia città, per la mia gente. La C era solo di passaggio, anche se avemmo molte difficoltà: una volta, per esempio, a Casarano trovammo dei galli ammazzati prima della partita. Certamente la serie B ha un sapore diverso. Quando alla fine del campionato fummo promossi, Bari impazzì letteralmente. Ricordo che dovevamo andare a festeggiare alla Barcaccia con il presidente, ma rimanemmo imbottigliati nel traffico. Le auto non camminavano. Eravamo io, Giovanni (Loseto) e Giorgio (De Trizio). Appena ci riconobbero, ci fecero uscire dall’auto e ci portarono in gloria sulle spalle, come fossimo dei santi, fino a Bari vecchia, dove rimanemmo a festeggiare con loro. Quando arrivammo alla cena, era molto tardi. E’ stata la notte più bella mia vita.

Perché nell’85-86 non andasti in serie A con il Bari?

Quando firmai nell’83, con Vincenzo Matarrese si parlò anche del mio futuro, del dopo carriera di calciatore. Ci fu un accordo non scritto e io avevo piena fiducia nel presidente. Però, dopo la promozione avvertivo strane sensazioni, perché durante il mercato estivo non si parlava più di me. La cosa era molto strana. Ad un certo punto andai a trovare Vincenzo Matarrese e gli chiesi del mio futuro nel Bari. Lui sembrava impotente. Allargava le braccia, dicendo che non era colpa sua e non parlò per niente del nostro accordo. Mi crollò tutto addosso. La città mi voleva ed io non mi volevo muovere da Bari. Poi incontrai Rosati, allora allenatore del Taranto, che era ricoverato a Bari e lui mi disse di seguirlo in C. I dirigenti del Taranto mi chiamavano in continuazione e io per farli rinunciare gli sparavo cifre e richieste assurde per la serie C. Ma loro accettavano ogni cosa. Feci la stagione a Taranto, ma finita ogni partita tornavo immediatamente a Bari.

La partita più bella che hai disputato nel Bari?

In coppa Italia contro la Juve. In casa feci quello scatto al limite delle forze e riuscii a procurarmi il rigore. E poi, con il Catania giocai una delle mie partite più belle. Vincemmo la partita e io umiliai completamente Mastelli. Alla fine ricevetti i complimenti di mister Renna, che mi aveva allenato a Palermo.     

Cosa ha significato per te, barese, diventare uomo simbolo dei biancorossi?

Penso a quella serata della promozione in A passata con i tifosi. Fantastico. I tifosi sono la vera forza di una squadra. Quando cantavano allo Stadio delle Vittorie, li sentivi uno per uno. Se noi calciatori eravamo stanchi, ci riprendevamo immediatamente. Prima di ogni partita parlavamo sempre con loro. Ricordo quando venivano a trovarci all’hotel Majestic e io li facevo entrare per raggiungerci. Era una gioia stare insieme.

Qual è il calciatore più forte che hai incontrato nella tua carriera?

Io adoro Platini, come campione di calcio e come uomo. Quando giocammo a Torino per la Coppa Italia, ricordo come si divertiva in campo. Mancavano 12 minuti alla fine e lui andava da Giovanni (Loseto) e gli diceva di stare attento perché avrebbe segnato. Giovanni, allora ventenne, me lo disse un po’ intimorito. Io cercavo di tranquillizzarlo in campo. Poi, Cuccovillo mi passò una bella palla in profondità e mi mise in condizionare di segnare con un pallonetto. Vincemmo 2-1. Allora Platini nel dopo partita entrò nel nostro spogliatoio e mi disse che ero stato bravo, dopo avermi rimproverato per l’affronto che gli avevo fatto, tirandomi l’orecchio. E’ stato davvero un grande.

Quello, invece, che ti ha fatto più impazzire in mezzo al campo?    

Marco Tardelli. Quando lo incontrai, lui giocava nel Como ed io nel Palermo. Era mingherlino. Prima della gara, a vederlo mi veniva da ridere, perchè pensavo a come potesse marcarmi uno così giovane e magrolino come lui. Sta di fatto che in quella partita non mi ha lasciato un attimo, mi stava sempre addosso. Alla fine non toccai palla.

C’è un calciatore del Bari degli ultimi 20 anni con cui avresti voluto giocare?

Mi sarei divertito molto con Igor Protti. Era un giocatore molto intelligente e mandarlo in gol sarebbe stato molto bello.

Che tipo di rapporto hai avuto con le due realtà societarie del Bari, quella di De Palo e quella dei Matarrese?

Tutti ricordano De Palo. Era malato per il Bari. Tutto ciò che poteva fare lo faceva. Era una bella figura, anche se non lo si vedeva sempre, a causa della sua professione di ginecologo. Avevo 18 anni e provavo grande rispetto per lui. Con Vincenzo Matarrese è stata tutta un’altra cosa. Avevo un rapporto diretto. E’ stato il mio miglior presidente, perché era presente e faceva star bene la squadra. Mi chiedeva spesso consigli e io ero contento di darglieli. Pensa che, prima di prendere Edi Bivi, mi volle incontrare per chiedermi cosa fare. Io gli consigliai di prenderlo.

Bari e i Matarrese, una storia lunga 30 anni. Pensi che dovrebbe continuare?

Gli ultimi campionati non hanno detto nulla e la gente è anche stanca di vedere sempre le stesse facce. Tutti vorrebbero qualcosa di importante a Bari. Mi piacerebbe anche capire la storia di Cazzaniga attraverso un discorso aperto e chiaro. Sulla vicenda i tifosi e l’intera città non hanno capito niente. Il presidente deve capire che, se allo stadio non c’è più un riscontro positivo da parte della tifoseria, bisogna dare una svolta. Non si riesce a capire neanche perché non vogliano lasciare. Ora ci stanno rimettendo pure dei soldi. Probabilmente non vogliono che arrivi gente che investa in questo territorio e che gli bruci la piazza. E’ un peccato perché Bari non è da meno della Reggina o del  Cagliari. E poi basta con la storia del bilancio sano, perché è una faccenda che riguarda tutte le squadre, non solo il Bari.Uno come Zamparini potrebbe venire benissimo qui. Lui non è mica tifoso del Palermo, è un imprenditore, che è riuscito a portare la squadra a quei livelli. Bari è una grossa piazza e ha un potenziale incredibile.

Di Gennaro ha detto che il calcio a Bari è morto. Che ne pensi?

Sono d’accordo con lui. Se si sta fermi di fronte al gioco dei Matarrese, allora è finita davvero. Chi vuole bene davvero al Bari, a cominciare dalle istituzioni, si deve muovere. E’ successo a Napoli e anche a Roma. Io sono stanco di combattere da solo. L’ho fatto anche attraverso le televisioni, ma è stato tutto inutile.

E i tifosi cosa potrebbero o dovrebbero fare per migliorare questa situazione?

Devono essere più determinati e andare fino in fondo, senza scomparire dopo alcune apparizioni. Bisogna reagire, sempre in maniera civile, come è successo a Napoli. I tifosi devono interessare le istituzioni e, se vogliono bene al Bari, devono mettere da parte gli interessi personali.

Tu ricopriresti un ruolo nell’As Bari?

Certamente. Direi una falsità se dicessi il contrario. Però ci devono essere le condizioni ideali: una società diversa. Ma non credo che lascino.

Un ultima domanda sul calcio giocato. Per quale esperienza calcistica vissuta Totò Lopez tornerebbe indietro nel tempo a calcare i campi da gioco?

Vorrei giocare quella finale di Coppa Italia che non abbiamo mai potuto giocare. E’ il rammarico più grande che ho. Quindi, tornerei indietro per rigiocare la semifinale contro il Verona e vincerla. Il Bari dell’83-84 è già nella storia, ma immagina se avessimo giocato in finale a Roma contro la Roma.

Molte grazie per la tua disponibilità.

E’ stato un piacere.

venerdì 8 Settembre 2006

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