Attualità

L’impatto dell’emergenza Covid-19 sulla popolazione immigrata in Puglia

Pino Gesmundo, Azmi Jarjawi
Un'analisi a firma del segretario generale della Cgil Puglia e del Coordinatore del Dipartimento Immigrazione della Cgil Puglia
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La nostra organizzazione ha fin da subito denunciato e segnalato più volte situazioni di fragilità e di disagio relativa ai cittadini immigrati che vivono e lavorano nella nostra Regione, sollecitando e chiedendo a Governo ed istituzioni di intervenire adeguatamente. Nell’interesse di tutti, ci siamo adoperati per offrire il nostro contributo al decisore politico mettendo in evidenza l’impatto che sta avendo questa crisi sulla popolazione immigrata, partendo dai rischi che essi corrono nel essere contagiati e le conseguenze che questo può determinare sulla lotta di contrasto a questo male invisibile.

La situazione nella nostra Regione è emblematica. Abbiamo grandi centri di accoglienza, tanti insediamenti informali di diversi dimensioni diffusi su tutto il territorio (i ghetti), i dormitori gestiti spesso dal volontariato o dati in auto gestione. Non tutte queste situazioni sono eguali. Non sempre si garantisce il rispetto delle norme sull’igiene, il distanziamento, la mancanza degli strumenti protettivi,fino all’estremo della situazione degli immigrati che vivono nelle baracche dei ghetti di Regnano, di Borgo Mezzanone e nei casolari abbandonati nelle campagne e nella vicinanza dei centri abitati, dove la situazione è drammatica e le condizioni igienico sanitarie sono semplicemente inesistenti.

L’impatto della epidemia sul lavoro degli immigrati è devastante, anche perché la maggior parte di loro sono occupati nel settore dei servizi e del commercio (ristorazione, alberghiero, turismo, commercio, cura alle persone), nell’edilizia ed in agricoltura – dove è diffuso il lavoro nero e grigio. Gli ammortizzatori sociali e i sostegni al reddito previsti dal Decreto Legge “Cura Italia” spesso non sono accessibili per molte lavoratrici e lavoratori immigrati o sono di molto ridotti perché il rapporto di lavoro dichiarato non riflette quello reale -per esempio sono tanti quelli che lavorano tutti i giorni dell’anno nei ristoranti, negli alberghi e nei negozi con orario di lavoro infinito e alla fine del mese ricevono una busta paga non veritiera per ore di lavoro espletate e retribuzione effettivamente percepita, del tutto inadeguata ed irrisoria- e quindi avranno un sostegno economico di miseria.

Tante colf e badanti sono rimaste senza lavoro e senza stipendio e nessun sostegno per loro è previsto dal Decreto “Cura Italia” e, visto che lo stesso Decreto vieta i licenziamenti, si toglie loro la possibilità di accedere alla indennità di disoccupazione prevista dalla legislazione ordinaria, così una misura positiva e giusta per loro diventa penalizzante. Le tante e i tanti braccianti agricoli sfruttati, che hanno prestato tante giornate di lavoro e per un numero di ore molto al di sopra di quelli previsti dai contratti collettivi, oggi si trovano doppiamente penalizzati in quanto, non avendo almeno un minimo di 51 giornate di lavoro dichiarate, hanno perso prima il diritto alla indennità di disoccupazione agricola ed adesso non hanno nemmeno il diritto al bonus di 600 euro previsto per il mese di marzo per i lavoratori agricoli che hanno effettuato un minimo di 50 giornate di lavoro nel 2019.

E che dire per dei tanti lavoratori che si trovano senza il permesso di soggiorno e che non potranno contare su nessun sostegno e continuano ad essere invisibili. Non è a caso che oggi il ministro Teresa Bellanova e non solo ritiene opportuna una regolarizzazione di questi lavoratori oggi nell’interesse della collettività e domani per il rilancio dell’economia. A molti lavoratori agricoli viene chiesto di lavorare a nero perché, secondo i datori di lavoro, non possono essere assunti in quanto l’azienda intende chiedere la Cassa Integrazione e quindi non può dichiararli come dipendenti, ciò perché non erano in forza alla data di entrata in vigore del decreto legge Cura Italia. C’è poi chi chiede la Cassa Integrazione, ma continua a lavorare utilizzando mano d’opera a nero e spesso senza condizioni di sicurezza. Appare chiaro che c’è sempre chi ne approfitta.

Un’altra preoccupazione è determinata dall’art.103 del Decreto Legge “Cura Italia” del 17 marzo 2020 che sospende i termini previsti per i procedimenti amministrativi relativi ai rilasci e ai rinnovi dei permessi di soggiorno pendenti al 23 febbraio o che siano stati avviati successivamente fino al 15 aprile, e prevede che i permessi, le autorizzazioni ed i vari certificati in scadenza tra il 31 gennaio e il 15 aprile si considerano validi fino al 15 giugno. Anche se ciò è molto apprezzabile dal punto di vista del contrasto all’epidemia in atto, esso tuttavia non chiarisce molte situazioni urgenti che riguardano i primi rilasci e quindi l’accesso ai diritti sociali e civili, i permessi di soggiorno per attesa occupazione, le richieste di asilo e il conseguente rilascio del permesso. Inoltre la Circolare del Ministero dell’Interno del 6 marzo 2020 ha predisposto la chiusura degli Uffici Immigrati presso le Questure e gli Sportelli Unici presso le Prefetture fino ai primi di aprile.

Di fronte a tutto ciò è evidente che noi siamo in attesa di una adeguata organizzazione degli Uffici condivisa con le Organizzazioni Sociali al fine di evitare eventuali assembramenti e tale da essere in grado di dare risposte immediate alle urgenze utilizzando anche nuove modalità organizzative rispondenti alle necessità determinate anche dalla attuale fase del Paese.

Segretario generale Cgil Puglia e Coordinatore Dipartimento Immigrazione Cgil Puglia

mercoledì 1 Aprile 2020

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