Attualità

Nuove importanti scoperte mediche in una ricerca dell’Università di Bari

La Redazione*
Individuate varianti genetiche che influenzano il funzionamento cerebrale nella schizofrenia
1 commento 216

Che alla base della schizofrenia ci fossero cause prevalentemente genetiche, finora era solo un’ipotesi. Le terapie applicate, che consistono prevalentemente in farmaci antipsicotici, si sono dimostrate utili a far recedere in parte i sintomi più comuni, come disturbi del pensiero, della memoria, dell’attenzione, delle percezioni sensoriali, dell’affettività e del comportamento. Tuttavia una vera e propria cura resta tuttora sconosciuta.

Oggi, grazie ad uno studio che ha coinvolto medici e biologi italiani, è stata fatta nuova luce sull’ inestricabile percorso genetico e molecolare che potrebbe causare la schizofrenia. Una speranza in più e una nuova strada di ricerca da percorrere per comprendere le cause più profonde del disturbo psichiatrico che colpisce l’1 per cento della popolazione mondiale e che ha effetti devastanti sul comportamento di chi ne soffre.

Si tratta dei risultati del lavoro, pubblicato il 27 dicembre su “Proceedings of the National Academy of Science”, la prestigiosa rivista scientifica statunitense. Il lavoro è del gruppo di ricerca di Alessandro Bertolino, professore di Psichiatria dell’Università di Bari e del gruppo di Alessandro Usiello, ricercatore del CEINGE e professore di Biochimica Clinica e Biologia Molecolare Clinica della Seconda Università di Napoli. Lo studio si è avvalso della collaborazione dell’IRCCS Casa Sollievo della Sofferenza di San Giovanni Rotondo e del Dipartimento di Fisiologia e Farmacologia dell’Università di Roma I e di un finanziamento della Fondazione Cassa di Risparmio di Puglia.

I ricercatori, (prima firma: Giuseppe Blasi, specialista in Psichiatrica dell’Azienda Ospedaliero-Universitaria Consorziale Policlinico di Bari), hanno valutato come delle varianti genetiche all’interno dei due geni che codificano per i recettori D2 e per AKT1 interagiscono nel modificare diversi fenotipi associati a questo percorso molecolare. Hanno quindi misurato i livelli e la fosforilazione di AKT1 e di GSK3b in esseri umani sani e hanno utilizzato la risonanza magnetica funzionale per valutare l’attività cerebrale durante lo svolgimento di compiti di attenzione sostenuta.

«Perché un farmaco abbia un effetto antipsicotico è fondamentale che agisca sui recettori D2 della dopamina, un neurotrasmettitore critico per lo sviluppo dei sintomi della schizofrenia – spiegano il prof. Bertolino e il prof. Usiello. Pur tuttavia, il preciso meccanismo d’azione di questi farmaci non è ancora ben conosciuto. Il nostro lavoro dimostra in maniera sorprendente come l’interazione di queste due varianti genetiche modifichi sia i fenotipi molecolari (sia i livelli di AKT1 che la fosforilazione di GSK3b) sia i livelli di attività cerebrale con il relativo comportamento attentivo. Infine, queste due varianti genetiche predicono anche parte della risposta sintomatologica in pazienti con schizofrenia trattati per otto settimane con un antipsicotico di seconda generazione».

Tali risultati potrebbero indicare che fattori genetici possono interagire nel conferire rischio di alterazioni nel percorso D2-AKT1 e potrebbero in futuro aiutare a comprendere meglio la fisiologia molecolare, neuronale e comportamentale nella schizofrenia.

*Si ringrazia l’Ufficio Stampa dell’Università di Bari

martedì 11 Gennaio 2011

Argomenti

Notifiche
Notifica di
guest
1 Commento
Vecchi
Nuovi Più votati
Inline Feedbacks
Vedi tutti i commenti
lealidiicaro
lealidiicaro
13 anni fa

Queste sono notizie che sollevano un pò la nostra speranza e fiducia nella ricerca!!!! Spero che la strada sia quella giusta per la risoluzione o almeno per una maggiore comprensione di questa patologia, ed il fatto che tale ricerca sia partita dall’Università di Bari non può che inorgoglirmi!!!!