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Quarrymen in Sinfonica: persino i baresi si scaldano

Fortunata Dell'Orzo
Il parco dell'Auditorium Nino Rota vibra della sconvolgente classicità beatlesiana
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Emozionati ma professionali, i quattro (cinque) Quarrymen per venti volte (tanti i brani eseguiti più i due bis) hanno  sancito, ove ve ne fosse bisogno, che i Beatles sono un Classico nel pieno e rotondo senso del termine. E che la Musica è un grande Caos germinante. I semi di tutta la musica contemporanea popolare, le propagini lunghe e nere del Blues, le vette eccelse dei Police, le atmosfere dei Dire Straits, i singulti nostrani di Ligabue e di Pelù, le rabbie alla Nannini e le intuizioni di Battiato (solo per restare a quella scarsa cultura musicale che la sottoscritta può compulsare) stanno in quel Caos primigenio sbadigliante, non di noia, ma di fatica: la fatica del far nascere.

Perdonate la mia enfasi ma mi sono emozionata al concerto. Non solo per la presenza in contemporanea dell’Orchestra Sinfonica della Provincia, diretta magnificamente dal Maestro Vito Andrea Morra (e per piacere smettiamo di chiamarla "giovane promessa": è una consolidata realtà con una lunghissima carriera in prospettiva, altro che) ma per il valore che questi musicisti hanno espresso, un mix irresistibile di umiltà e autorevolezza, di consapevolezza e perspicacia che molto spesso non si trova nemmeno negli artisti più scafati e di esperienza.

Persino il pubblico barese, quello che di solito va ai concerti, quello che il più delle volte resta come alla finestra a guardare e ad applaudire con moderazione, quasi fosse una cosa sconveniente dimostrare il proprio entusiasmo, persino quel pubblico dicevo si è scaldato. Certo non subito: sembrava un diesel in una giornata un po’ freddina ( e dire che forse avevamo 33 gradi alle 21) ma poi non ha potuto più fingere quel bon ton un po’ appiccicoso, quello starsene impalati a sventolarsi sulla sedia sorridendo con moderazione e applaudendo con parsimonia.

L’apoteosi però (ed era felicemente prevedibile) si è avuta con l’esecuzione maestosa di Hey Jude, quella canzone che Paul scrisse per consolare il figlio di John, in crisi profonda al momento del divorzio dei genitori. Oggi, ai più, sembra quasi un testamento dei Fab Four, che stavano per divorziare davvero lasciando in lutto il mondo intero. Il pubblico, ormai conquistato, ha cantato quasi senza accorgersene il mitico La-la-la-la-la-la finale, con un’orchestra che ormai sosteneva e spingeva la musica e le anime di chi l’ascoltava.

E comunque, siamo ben oltre la Tribute Band. Questo gruppo ha una sua anima, un suo stile, una sua via da seguire, pur nella filologica e amorevole aderenza al Grande Modello. E siamo comunque in presenza di un fenomeno che può (deve) avere ricadute importanti sulla formazione musicale delle giovani generazioni, perchè questi quattro (cinque) sono coinvolgenti, simpatici, puliti e veri.

Antonio Tuzza: chitarra, tastiere e voce. E’ un leader e si sente. Ma non lo vedrete mai prendere atteggiamenti da capoccia. A un certo punto ha persino chiesto scusa per un errore di cui il pubblico non si era nemmeno accorto.

Renato Ciardo: Batteria e voce. Se Ringo Star fosse stato bravo come lui (e diciamolo) non sarebbe scomparso quasi nel nulla dopo lo scioglimento dei Beatles. Importantissimo per l’impasto vocale, tiene con i suoi tamburi alta la pressione sistolica e diastolica delle esecuzioni.

Alessandro Loprieno, Basso e voce: Intonatissimo, emozionante ed emozionato, ma non per questo meno sicuro, anzi. E’ un nuovo arrivo in questa formazione che non è statica (ha cambiato di recente un elemento) ma solidissima.

Vito Tatone, chitarre e voce, da anni backliner del gruppo, è entrato per consentire a Tuzza di suonare il piano dal vivo per la prima volta, proprio per questa serie di concerti con la Sinfonica. In perfetta sintonia con gli altri, suona "a memoria" ma non vi è nulla di scontato in questo.

Simone Martorana, chitarra e voce. Un talento cresciuto nutrendosi di altri talenti, dei grandissimi delle sei corde, elettriche o acustiche. I suoi assoli e le sue svisate sono il segno più evidente che i Quarrymen non sono solo una copia casalinga dell’inarrivabile orginale ma una realtà che brilla di luce propria.

L’Orchestra Sinfonica della Provincia: c’è, e come. Diretta da un Morra che la sa tenere morbidamente sotto la band o la scatena a sostegno muscolare. Bravissimi tutti, un ensamble maturo ed affidabile. Meriterebbero di suonare più spesso su altre piazze più esigenti e meno arcigne della nostra.

Marco Renzi, il Direttore del Conservatorio, cui è venuta l’idea di questa serie di concerti. E di farli all’ombra di un Auditorium chiuso, scandalosamente chiuso, anche per tenere viva l’attenzione su questo crimine che solo a Bari può compiersi nella (quasi) totale indifferenza di cittadini e autorità.

E del pubblico abbiamo già detto: si è riscattato nel finale, smentendo la nostra sensazione che fosse, come i polipi, senza sangue.

Ora, per i Quarrymen ci vogliono due cose: produrre un DVD (e non vi nascondo che ci stiamo già pensando noi di Barilive) e suonare con Paul Mc Cartney. Nel frattempo altri quattro concerti li aspettano, a Noci, a Bitritto e a Bitonto (vedi anche i nostri appuntamenti).

E poi: la strada è lunga, lunghissima, come la scia che la Musica traccia nel mondo a nostra immeritata consolazione.

mercoledì 2 Agosto 2006

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