Spalla

La destagionalizzazione turistica? Possibile anche grazie al cibo

Elena Albanese
​Tanti i prodotti pugliesi inseriti negli elenchi del Mipaaf che certificano la denominazione di origine protetta, l'indicazione geografica protetta e la tipicità
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La Puglia del turismo, oltre che sulle centinaia di chilometri di spiagge e sul sole quasi tutto l’anno (anche se in questi giorni non si direbbe), si basa anche sulla quantità e qualità del cibo.

A confermarlo è l’Istat, i cui ultimi dati (relativi al 2016) parlano di una crescita di consumi legati all’enogastronomia nella nostra regione pari al 10,9% in più rispetto all’anno precedente. Un dato che assume ancor più valore se si considera che la media italiana si attesta al +4,2%.

Potrebbe essere dunque questo il volano economico per una vera e seria destagionalizzazione dei flussi turistici. Da offrire ce n’è. Lo dice anche l’elenco del Mipaaf, aggiornato meno di un mese fa, dei prodotti Dop (denominazione di origine protetta) e Igp (indicazione geografica protetta).

La nostra regione ne annovera diversi, in tutte le categorie e soprattutto ben dislocati nelle sei province. Buona la presenza di frutta, ortaggi e verdura, con il carciofo brindisino, la cipolla bianca di Margherita, l’arancia del Gargano, le clementine del Golfo di Taranto, l’uva di Puglia, la new entry lenticchia di Altamura, la patata novella di Galatina e il limone femminiello del Gargano, coltivato soprattutto a Vico, Ischitella e Rodi, il più antico e produttivo d’Italia (da cui il nome), che arriva anche a cinque fioriture all’anno.

Non potevano mancare gli olii, di cui ogni provincia ha il suo rappresentante: Collina di Brindisi, Dauno, Terra d’Otranto, Terre di Bari e Terre tarentine, a cui si aggiunge una ben nota qualità di oliva, la Bella della Daunia.

Tra i lavorati spiccano i formaggi, con la burrata di Andria, anch’essa di recente introduzione, il canestrato pugliese e strascichi di prodotti di territori circostanti, quali il caciocavallo silano (prodotto anche nelle province di Foggia, Bari, Taranto e Brindisi), mozzarella e ricotta di bufala campana (realizzata nei caseifici dauni). Chiude il cerchio – e come potrebbe essere altrimenti – il celeberrimo pane di Altamura.

Meno recente, ma non troppo, poiché risale al luglio 2017, è invece l’elenco dei prodotti tradizionali della nostra regione, stilato sempre dal Ministero per le Politiche agricole e forestali. Qui c’è davvero l’imbarazzo della scelta, con ben 276 tra materie prime, cibi, bevande e condimenti.

Si spazia dalla ricotta marzotica (ultima in elenco, ma non in bontà) alla zuppa di pesce alla gallipotana (suppa alla caddhripulina</i>); dalle alici marinate alle zucchine alla poverella (che hanno tanto sapore di nonna…); dalle sgagliozze baresi a fave e cicorie</strong>; dalle cime di rapa stufate al calzone</strong>; dalla zèppula salentina al sospiro di Bisceglie</strong>; dal capocollo di Martina Franca alla salsiccia a punta di coltello dell’Alta Murgia, passando da scarcelle, pettole, orecchiette, mostaccioli, mandorlaccio, lagane, cartellate, sponzali…e ci fermiamo qui onde evitare ulteriore acquolina in bocca.

A tutto questo ben di Dio si aggiunga il fatto che la Puglia può contare su 245mila ettari di aree naturali protette (di cui il 75,8% di parchi nazionali e l’8,3% riserve marine), in cui la varietà vegetale comprende ben 2.500 specie.

Dunque l’offerta enogastronomica rappresenta oggi una primaria motivazione di viaggio, specie degli stranieri in Italia, che nel 59% dei casi continuano a comprare prodotti nostrani anche una volta tornati in patria (secondo una ricerca Bit/Bocconi lo fa il 25,9% dei visitatori francesi, il 22,5% di quelli tedeschi e il 16,9% dei britannici).

E allora è proprio su questo che bisogna contare, attirando tutto l’anno i turisti col buon cibo, il paesaggio curato e l’offerta di attività ricreative nelle strutture ricettive, come i corsi di cucina e le attività didattiche.

E naturalmente, un sorriso tutto pugliese.

giovedì 22 Febbraio 2018

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